La buona fede è un'espressione riconducibile al dovere di solidarietà sociale nell'ambito del diritto delle obbligazioni e dei contratti.
L'Art. 1147 del Codice Civile, nel tentativo di dare una definizione formale, stabilisce che:
"È possessore di buona fede chi possiede ignorando di ledere l'altrui diritto".
In aggiunta:
"La buona fede non giova se l'ignoranza dipende da colpa grave. La buona fede è presunta e basta che vi sia stata al tempo dell'acquisto".
Quest'ultima affermazione, peraltro, appare in contrasto con quelli che sono i diversi momenti dell'atto negoziale in cui è necessaria, ovvero: nella fase iniziale di trattativa e in quella di vera e propria esecuzione del contratto, oltre all'eventuale fase di interpretazione del contratto stesso.
È prevista, quindi, una distinzione tra soggettività e oggettività della buona fede: quest'ultima, in particolare, si può sintetizzare come il dovere di correttezza e di reciproca lealtà di condotta nei rapporti tra i soggetti. In termini formali, la clausola generale di buona fede assolve a due funzioni precise:
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la prima consiste nell'integrare il regolamento contrattuale, consentendo all'interprete di introdurre diritti non previsti e talvolta anche in contrasto con quelli indicati;
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la seconda, invece, consente all'interprete di limitare l'esercizio di pretese che, pur essendo apparentemente dovute, realizzerebbero in concreto un abuso della posizione di una parte sull'altra.
In via generale essa è presunta, ovvero l'onere della prova spetta a chi la contesta.